Madonna di San Francesco

Tipo:quadro
Data:1515
Tecnica:olio su tavola
Dimensioni:299 x 245,5
Ubicazione:Dresda, Gemäldegalerie
Scheda Critica:

Quest’opera, firmata sulla ruota di santa Caterina (“ANTO[N]IVS/ DE/ ALEGRIS/ P.”) e che sappiamo esser stata completata nel 1515, ha rappresentato il punto di riferimento per sistemare cronologicamente il catalogo delle opere giovanili del Correggio. Vera e propria cesura fra due modi di intendere e di fare l’arte: il primo, precedente a questo lavoro, ancora ancorato alla tradizione artistica mantovana e bolognese, il secondo, posteriore, ormai pienamente inserito nella “maniera moderna” che secondo Vasari fu proprio il Correggio a iniziare in Lombardia. Fu commessa il 30 agosto 1514 da Fra’ Girolamo Catanio, priore della chiesa di San Francesco di Correggio, grazie al lascito di Quirino Zuccardi. Si trattava di una commissione impegnativa e prestigiosa che attesta la fama raggiunta in loco dal giovane artista.
Il modello della tradizionale tipologia della pala d’altare tardo quattrocentesca e primo cinquecentesca viene rinnovato grazie all’ambientazione della scena entro la solenne quinta architettonica delle colonne ioniche. Una cornice colta e preziosa, valorizzata dal raffinato trono all’antica della Vergine decorato nel basamento da un fregio floreale e da un medaglione che ospita l’immagine monocroma del profeta Isaia. Ciò nonostante, le figure abitano questo spazio in maniera semplice e naturale. Di ciascun santo è reso il particolare “moto dell’animo”, secondo i precetti vinciani per cui a un sentimento corrisponde un movimento del corpo e dei lineamenti del viso. Questo impercettibile muoversi, quasi fluttuare, delle figure crea intorno alla Vergine un ritmo circolare che la sua mano destra sospesa a mezz’aria pare voler smorzare. In questa delicata polifonia di gesti ed espressioni, sottolineata dalla sapiente distribuzione della luce calda e sfumata, nonchè in alcune precise citazioni (come la mano sospesa della Vergine) il Correggio rivela una profonda riflessione sulle opere di Leonardo  e raggiunge un risultato che non ha niente da invidiare ai modelli  più celebri di Raffaello  o alle contemporanee pale di Andrea del Sarto  tanto da far ancora oggi discutere i critici su quali opere dei grandi maestri cinquecenteschi egli potesse aver incontrato entro questa data. [M. Spagnolo]


  1. Vasari 1568:  “Et egli fu il primo che in Lombardia cominciasse cose della maniera moderna: per che si giudica che, se l’ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia e stato a Roma, averebbe fatto miracoli e dato delle fatiche a molti che nel suo tempo furono tenuti grandi; con ci sia che, essendo tali le cose sue senza aver egli visto de le cose antiche o de le buone moderne, necessariamente ne seguita che, se le vavesse vedute, arebbe infinitamente miglliorato l’opere sue, e crescendo di bene in meglio sarebbe venuto al sommo de’ gradi. Tengasi pur per certo che nessuno meglio di lui toccò colori, né con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui, tanta era la morbidezza delle carni ch’egli faceva, e la grazia con che e’ finiva i suoi lavori.”

  2. Anonimo, Guida alla galleria estense, MS inizio XVIII sec.: “Nell’altra tavola alta palmi 13 e larga 10 2/3 vedesi di prima maniera del Correggio la B.V. col Puttino a sedere sopra un’antico piedistallo di marmo sorretto da due puttini coloriti però dal vivo intagliatovi un ovato per ornamento un Mosé sedente con le Tavole: da una parte S.Cattarina, e S. Gio:Battista, e dall’altra S.Francesco e Sant’Antonio da Padova, e vi sono certi colonnini su cui appoggiasi un Arco sotto cui stanno tutte queste figure questa Taavola benché della maniera che all’hora usavasi da quegli antichi pittori come Mantegna Francia tuttavia mostra molto più di grandiosità e movenza, e ne panni scostasi da quella ristrettezza praticatasi in quei secoli: nelle mani vi è la solita grazia di questo ingegno ed in certe vedute di volti s’accorge che sino d’all’hora meditava quel novo e stupendo modo, che di lì a poco cominciò a pratticare: in aria pure vi sono due puttini e varie teste di serafini, e sotto questo quadro su la Ruota di Santa Catterina lasciò scritto Antonius de Allegris”

Il 30 agosto 1514, nella sua camera da letto, Antonio Allegri, venticinquenne, non ancora sposato e con il consenso del padre, sigla il contratto con Padre Hieronimo de Cataniis, custode del convento dei Frati Minori di San Francesco in Correggio, al fine di eseguire la pala maggiore della chiesa omonima. Vi lavorerà alacremente nei mesi successivi, per consegnare il lavoro ed essere pagato infine il 4 aprile 1515. E’ questa la prima opera datata, e dunque l’unico riferimento di paragoni stilistici per un numeroso gruppo di dipinti: paragoni che – peraltro – hanno intricato sinora le cronologie proposte dai vari studiosi.

In quale contesto sia stata collocata nella Chiesa di San Francesco non possiamo sapere, non essendo pervenuto nulla riguardo l’architettura circostante la pala. Certamente essa appariva come fulcro nella prospettiva della solenne navata centrale del tempio gotico, allora già famedio dinastico della famiglia signorile dei “da Correggio” (interessanti a questo proposito le ricostruzioni di G. Nicolini presso il Centro di Documentazione della Casa del Correggio).

Oggi la bellissima Sacra Conversazione ci si offre amabile da una parete della Gemäldegalerie di Dresda, quivi affettuosamente conservata dopo il trafugamento dalla città dell’Allegri, dopo il trasporto settecentesco da Modena, e dopo le traumatiche vicende di varie guerre. Poco prima del 1663, infatti, il borioso duca estense Francesco I fece rapire la Pala e se la portò in Palazzo Ducale a Modena, insieme con la “Notte” da Reggio, e con le due grandi tavole degli oratori modenesi. Nel 1746 lo squattrinato duca Francesco III vendette all’Elettore di Sassonia i cento dipinti più celebri della Galleria Estense, compresi ovviamente i sei originali del Correggio. Della triste vicenda si possono avere ampie notizie dal volume “La Vendita di Dresda“, a cura di Johannes Winkler, Modena 1989.

L’ammirazione per la “Madonna di San Francesco” non tramonta nei secoli. L’inesausta lettura critica degli specialisti si accompagna alla continua sgorgante commozione di chi vi giunga dinnanzi per una contemplazione diretta. Davvero questa pala, compiuta con entusiasmo da un giovine di una piccola città, attrae e beatifica per la sua novità e freschezza – pur nelle dimensioni monumentali – per l’infinita luce serenante, per la divina e umana cordialità degli sguardi e dei sentimenti che i Santi Personaggi effondono tra loro e riversano verso i fedeli, da essi invitati al celeste colloquio. E’ bene anticipare questi valori, prima di ogni altra cosa, per non cadere nei citazionismi di sigle e di sagome che inaridiscono ben più fecondi esercizi.

La gran tavola sacra si potrebbe chiamare – a ragione teologica – la Pala dell’Intercessione.  Per la Madonna si era già aperta la definizione di “Immacolata Concezione” nel 1473 da parte di Papa Sisto IV e i francescani furono i grandi propagatori del supremo privilegio di Dio (“potuit, decuit, ergo fecit”) verso la Madre terrena del suo Figlio. Di qui l’intima unione di Maria con Gesù, il suo ruolo autentico di “Corredentrice”, e la verità di essere Mediatrice di ogni grazia. E’ questa la verità che viene cantata nella gioiosa visione correggesca, dove Maria, come mamma, reca dal cielo il piccolo Gesù sopra un trono terrestre e lo avvicina ai Santi: i quali sono davvero i suoi ardenti adoratori, ma anche i trepidi amici. E i Santi congiungono lo spazio mistico dell’intercessione, con quello temporale e fisico dei devoti presenti nella chiesa.

Dal punto di vista artistico vediamo quali sono i caratteri, e le relative novità della prima grande pala del Correggio. E’ rispettato lo schema della “sacra conversazione” come si applicava nelle varie regioni italiane, ma qui è trovato un sorprendente equilibrio tra l’architettura solenne, il piano d’appoggio avanzante fuori dal quadro, il paesaggio e il paradiso. La geniale risoluzione dell’Allegri comincia con la possente struttura colonnare – posta sull’acqua verginale e serrata sull’arco di fondo – che non mostra la sua conclusione di cupola o di fastigio, riservando così tutto l’invaso alla presenza predominante delle figure. Maria e Gesù stanno in una grande edicola monumentale – segno di sommo onore – ma essa non incombe visivamente: slitta anche ai lati, ed è situata nel cuore della natura, intesa come creazione, e come storia.

Tutti gli elementi visivi importanti sono disposti su schemi per quadrati e triangoli (si veda l’illuminante rilievo di Renza Bolognesi a fine volume) che sottostanno al libero muoversi delle persone e dei gesti, rifuggendo da ogni rigidità mensurale, utilizzando lievi scarti assiali e dimensionali. I quattro Santi appoggiano in profondità su altrettante linee successive. Il più vicino è il Battista, precursore e annunciatore, che immerge la sua asta crociata nell’acqua della purificazione battesimale. I due Santi francescani stanno a sinistra di chi guarda, dalla parte del convento, e San Francesco guadagna un po’ di lateralità, aprendo anche al paesaggio. Il trono, assai elevato, rifugge dall’essere marmoreo e non usa i drappeggi coprenti dei marchingegni veneti. E’ ritmato sopra e sotto, quasi ingenuamente, da alcuni suppedanei lignei orizzontali (di quelli che si ritrovano per vari apparati nelle sacrestie), ma scatta ad un’incredibile animazione puero-celestiale nel suo livello mediano, tale da incantarci e smarrirci nella logica: son bimbi discesi dai santi splendori, venuti a sorreggere e a presentare ai devoti il peso immateriale delle sacre presenze, e a ricordare la sempiterna legge di Mosè – che appare nel medaglione – guida ineludibile per la retta vita!  Di questo è stata capace l’intuizione mistica del Correggio: il paradiso si aggira sulla terra!

Il trono ha infatti una sua “collocazione mistica” relativa alla figura di Maria: esso pone la Madonna tra i cieli; ha un evidente rapporto con la terra; e poggia sulle acque salvifiche della Grazia. In questo modo Maria viene proclamata e onorata, come dal titolo della sua incoronazione, “Regina del cielo e della terra”.

Una rete di sguardi ordina il rapporto tra le figure. Maria, dolce e dignitosa, guarda Francesco, ricambiata con il trasporto dell’anima e con il segno della stimmata del costato. Caterina, la principessa martire, ripete il medesimo volgersi sulla destra. Gesù mira direttamente ogni fedele, così come fa il Battista, convincente introduttore di ognuno di noi verso il Messia. Infine Sant’Antonio da Padova – virtuale autoritratto di Antonio da Correggio, vestitosi in saio e felice di stare lassù – guarda con acuto sorriso un gruppetto di suoi amici, lì nella chiesa francescana del Borgonuovo.

Si può pur ricordare che il gesto della Madonna in questa pala ripete quello della Madonna della Vittoria, oggi al Louvre, di Andrea Mantegna (1496). Si possono richiamare certe giustezze costesche, ed echi che giungono da maestri toscani, veneti, lombardi, ferraresi, ma nulla può turbare questa nuova, innica polifonia di vita.

Altre osservazioni sono importanti. La sapienza architettonica del Correggio, già nel 1514, è un’arte potente e padroneggiata: basti guardare – oltre all’impianto ordinale e prospettico – l’originalità dei capitelli jonici, con le volute conchigliari, ammonitiche (simboli di fertilità), e la cura del disegno dell’antémio di ciascuno di essi (il collarino del capitello). Anche i particolari decorativi dei legni intagliati denunziano un’occhio addestrato al più bello stile rinascimentale.

Sul piano spaziale la meraviglia corre in naturalezza dall’irrorato terreno del primissimo piano, niellato d’erbe campestri, al corso d’acqua retrostante al trono; indi ai coltivi dorati e ai tre piani salienti dei profili collinari che giungono alla tenue, amata visione – dietro il volto del Santo d’Assisi – della dantesca Pietra di Bismantova. Qui lo spazio diventa cielo chiarissimo, mattinale, eppoi – più in alto – diventa nimbo, alito angelico bioccolato di teste di cherubi, lume dorato di gloria e d’eternità che avanza dall’arco simbolico il quale richiama la janua coeli, cogente attributo di Maria. Ma presso questo spessore soffuso saettano in scorcio – tra i capitelli – due corpi puerili innocenti, preganti, perfettamente ignudi ed apteri, coi riccioli scossi dal volo. Ad essi è affidata la sigla fisica del raccordo tra terra e cielo, ma riflettono pure il ruolo dei cherubini biblici, custodi dell’Arca dell’Alleanza, qui adombrata ancora dalla Madre di Gesù, Dio presente!

La linea simbolica di questo capolavoro è ulteriormente ricca. Sul podio rosso, di base, il pittore ha delineato in sottile monòcromo le scene del peccato originale e della cacciata dal paradiso terrestre (inizio dell’era sotto il peccato, ma anche della promessa); nell’ovato sovrastante compare Mosè portante il decalogo (il primo aiuto di Dio al suo popolo, per il tempo sub lege); sul trono sta infine Gesù, il nuovo Mosè (si veda la eguale comparazione delle pareti della Sistina) che apre l’era salvifica sub Gratia.

Le prove di maestria pittorica non sono poche. E’ ben stesa la disposizione compositiva, intavolata su regolari schemi geometrici, che situa Gesù – ad esempio – nel centro di una quinconcia perfetta. E’ armonico lo studio luminoso dell’insieme, che trapassa dal reale al divino, ma che implica l’antica luce effettiva dell’abside. Sonora la gamma cromatica, accordata all’intero rinascimento italiano, e disciolte le pose delle figure, così colloquianti; sino alla stupenda sospensione spaziale dei due bimbi angelici, vero gaudio dell’anima. Sfavillano altri particolari di pungente naturalismo: l’antologia accuratissima delle erbe sul prato, il ramo spezzato sotto il braccio di Antonio, la desinenza ossea della pelle caprina di San Giovanni Battista, la corona di Santa Caterina e quel velo incredibile che scende dalla sua spada passando tra i putti reggitrono. Inoltre la bellezza delle mani, articolate, parlanti, e il rovescio del manto di Maria che s’incappuccia sul balaustro del seggio, e la trepidezza soave del nudo Bambino Gesù. Infine la firma, consapevole, sulla ruota martiriale ai piedi della Santa: “Antonius de Alegris F.”

Tutto questo è la “Madonna di San Francesco“: polo centrale della storia dell’arte, ed estasiante apertura di un abbraccio di accoglienza per l’anima cristiana che cammina verso la salvezza.     (G.Adani)